C'era una volta un paesino chiamato Fontamara. C'era un calzolaio di nome Baldissera, ma che tutti chiamavano "il Generale". C'era un sacrestano di nome Teofilo, morto suicida non per volontà sua, ma per volontà del governo. C'era la cantina della vedova Marietta, dove i Fontamaresi erano soliti riunirsi, e dove la donna era stata costretta ad affigere il cartello «Vietato parlare di politica». C'era un avvocato, Don Circostanza, l'aiutante del popolo, i cui aiuti si può dire non fossero certo disinteressati. Poi c'era un Sindaco, non più Sindaco: il suo titolo era "Podestà", soggiogava i cafoni con caparbi movimenti giuridici e via discorrendo. Poi c'era il governo, anzi parlar di governo è fin troppo: c'era un regime. E poi cosa c'era? Ah, sì! C'era un giovane, di nome Berardo, figlio di delinquenti, che per amor proprio, per amore di una donna, e per amore di Fontamara, mutò il suo corpo in un inutile "sacco da torture", donato a briganti travestiti da tutori della legge.
- In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa.
- Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
- Poi vengono le guardie del principe.
- Poi vengono i cani delle guardie del principe.
- Poi, nulla.
- Poi, ancora nulla.
- Poi, ancora nulla.
- Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch’è finito.
«Che fare?» - Ritrovo sempre questa domanda, nei secoli e nei secoli sempre più attuale.
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